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Gay & Bisex

Il regalo di Eric


di aramis2
09.03.2020    |    9.018    |    14 9.0
"Eric venne verso di me dall’oscurità dove mi trovavo; sapevo che stavo sognando, non so come, ma lo sapevo..."
Capitolo 1
Ho capito

Ero sdraiato nel mio letto a guardare un talk show. Pensavo tra di me come erano pietose quelle persone che non erano capaci di gestire i loro problemi in privato. Coinvolgere il mondo intero nei loro problemi li faceva stare meglio.
Mentre ero là sdraiato, pensavo a me: ‘Cosa mi sta succedendo?’
Era una domanda che mi opprimeva da quando avevo compreso di essere gay.
Non era stata una conclusione a cui ero arrivato facilmente, badate. Per anni mi ero detto che non lo ero. ‘È solo una fase’, mi dicevo. Solo quando mi resi conto di chi ero mi dissi: ‘Io sono gay. Io sono gay, io sono ga.... Cazzo, come diavolo l’avrei detto a mia mamma.’ Onestamente, quella fu la prima frase che mi venne in mente quando me ne resi conto veramente.

Ok, ecco la parte dove dico: ‘Forse dovrei descrivermi...’ Eh, ho letto un sacco di storie così. Ok, allora, mi chiamo Giacomo, ho 18 anni, capelli castani, occhi blu ghiaccio e l’ultima volta che mi sono pesato pesavo 95 chili. Non è molto, considerato che sono alto un metro e novantadue e molto muscoloso. Ho un accento australiano perché mio padre era australiano ed ho vissuto a Sydney per tre anni prima che lui morisse e venissi qui. Ah cazzo, sto di nuovo divagando. Bene, torniamo alla storia. Dov’ero? Oh sì, ora ricordo.

Dopo essermi detto questo la mia visione della vita cominciò a cambiare. Mi sentivo meglio, mi sentivo liberato dagli obblighi che prima mi abbattevano. Guardavo apertamente (Anche se non troppo apertamente, ci si può trovare con un occhio nero, sapete) gli altri ragazzi nello spogliatoio, invece di nascondermi dietro gli armadietti. Non fraintendete, non ero sul punto di fare coming out, sapevo che sarebbe stato un errore.
Ogniqualvolta ci pensavo, al coming out voglio dire, mi ricordavo di un ragazzo, si chiamava Stefano, Ste, Steve, o qualche cosa del genere. Comunque lui decise di dire a tutta la scuola che era gay. E voglio dire tutta la scuola. Quel giorno eravamo in riunione nell’auditorium. Lui era candidato a presidente del corpo studentesco. Lui pensò fosse suo dovere informare l’intero corpo studentesco che era un omosessuale. Io quasi svenni! Il locale divenne improvvisamente silenzioso Il preside lo sentì mentre stava sgranocchiando una ciambella, letteralmente soffocò. L’insegnante vicino a lui dovette dargli una manata sulla schiena. Appena ebbe recuperato, corse fuori dall’auditorium e telefonò alla madre del ragazzo. Lei venne a prenderlo. Quella fu l’ultima volta che lo vidi. Questo è sufficiente per spiegare perché non volevo dire a tutto l’universo che ero gay.


Capitolo 2
L’innamoramento

Bene, quando cominciai ad esplorare questi sentimenti, cominciai a notare quanti bei ragazzi c’erano nella mia classe. Ce n’era uno in particolare per il quale avrei fatto pazzie. Si chiamava Eric. Poiché era nella mia classe lo vedevo spesso. Era alto circa un metro e ottantacinque, ed ad occhio direi che pesava 65 chili. Non muscoloso quanto me, ma abbastanza da non sembrare magro. Aveva capelli biondi ed i più begli occhi nocciola da far innamorare. Era carino. Ma c’era una cosa: lui era strettamente etero.
Era difficile essere più innamorati di quanto lo fossi io ed incapace di dirgli quello che sentivo per paura di un rifiuto. O forse, più che altro, per la paura che lui andasse a spifferarlo a tutta la scuola. Dopo di che, lo sapete, sarei stato conosciuto in tutta la città come una checca.
Non avrei potuto convivere con quell’immagine. Quindi mi limitavo a cercare di essergli amico.

Un giorno, c’era alla lezione di algebra, circa sei mesi dopo aver compres chi ero, e stavo scarabocchiando calcoli su un blocco per appunti. Lui entrò ed io lo vidi con la coda dell’occhio. Alzai immediatamente la testa ed agitai la mano per salutarlo. Lui fece altrettanto ed io gli feci segno di sedersi davanti a me. Lui sorrise e si avvicinò. Oh Dio! Quel sorriso! Mi si avvicinò e posando i libri disse: "Ehi Giacomo. Cosa stai facendo?"
"Niente. Sto facendo esercizi per la prova di questa mattina, e tu cosa stai facendo?"
"Niente. Odio i compiti. Sono una rottura di palle, uomo."
"No, dai. Non possono essere una cosa così brutta" Risposi. Lui scosse la testa e mi sorrise con quel sorriso favoloso.
"Beh naturalmente sono più facili per te, Giacomo. Tu sei un gran cervello, uomo."
Lo presi come complimento e risi con lui.
Un’idea cominciò a formarsi nella mia testa. Se avessi potuto convincerlo a studiare con me, potevo stargli più vicino. Sì, buona idea, tutto questo piano si formò nella mia testa in due secondi.
"Ehi, perché non vieni stasera a casa mia, potremmo studiare. Potrai restare anche la notte." Mi sorpresi a dire.
Lui ci pensò per un momento e poi accennò col capo entusiasticamente: "Sì uomo, sarebbe grande! Forse potrei cominciare a migliorare i miei voti.

Capitolo 3
Io trovo l’amore

Quindi, si decise che venerdì sarebbe stato il nostro ‘giorno di studio’.
Era solo mercoledì ed io ero più nervoso di quanto avrei dovuto essere.
Non avrei voluto aspettare, avrei voluto portarlo subito a casa e leccare ogni centimetro del suo magnifico corpo. Ma dovevo aspettare. L’unica cosa che potevo fare era guardare nuovi episodi di Star Trek che trasmettevano quella sera. Ragazzi, pensavo, verrà venerdì!

Bene, venerdì venne. Per tutto il giorno a scuola fui nervosissimo. Eric ed io frequentammo le lezioni e mangiammo insieme a pranzo. Io non potevo guardarlo negli occhi. Tutti quei pensieri erotici mi impedivano di cercare quel seducente sguardo nocciola. Poi l’ultima campana suonò e noi andammo al parcheggio e fui orgoglioso nel mostrare la mia macchina rosso ciliegia con una striscia nera sul lato. Gli lanciai le chiavi e lui aprì lo sportello del lato passeggero. Dopo poco eravamo in viaggio.

Arrivammo a casa mia e mia mamma era ancora a lavoro. Lei lavorava in un grande studio legale, uno dei più grandi della regione, guadagnava un sacco di soldi, i suoi capi le affidavano i casi più importanti. Ecco la ragione per cui potevo permettermi la mia bella macchina. Eric disse che aveva bisogno di pisciare quindi andò in bagno e chiuse la porta. Io aprii il frigor per vedere se c’era qualche cosa da mangiare. Niente. Maledizione. Oh bene, io pensai, uscii dalla cucina ed andai ad ascoltare i messaggi nella segreteria telefonica, pensai fossero tutti per la mamma ed andai nella mia stanza.
Accesi il mio mega pc e mi loggai per entrare in rete. ‘Hmmm, Eric è ancor in bagno’ Pensai: ‘Forse non doveva solo pisciare.’
Entrato in rete aprii il mio programma di posta, pensai che era meglio stare lontano dai canali gay che avevo scoperto un paio di mesi prima. Se Eric fosse entrato e mi avesse sorpreso sarei stato un uomo morto. Quindi andai su uno dei siti di Star Trek che frequentavo. Non trovando nulla di interessante, spensi il pc ed accesi lo stereo.

Sentii Eric aprire la porta del bagno, entrare in soggiorno e chiamare: "Giacomo, dove sei?"
"Qui!" Risposi, lo sentii aprire la porta della mia stanza. "Ehi uomo, pensavo che mi avessi lasciato solo!" Disse sorridendo.
"No, sono solo venuto qui." Mi avvicinai allo stereo, abbassai un po’ il volume e poi ritornai al mio letto.
Ora, cercate di capire, io ed Eric eravamo divenuti veramente buoni amici negli ultimi mesi. Facevamo insieme un sacco di cose, andavamo ai concerti, al cinema, insomma eravamo quasi inseparabili. Ci fidavamo uno dell’altro, era come se avessimo voluto fortemente essere amici. Me ne ero reso conto. Avevo anche compreso che la mia attrazione per lui non era solo sessuale, ma anche emotiva. Anche se lui non era molto bravo a scuola ed io sì, la cosa non mi preoccupava, lui era divertente, tollerante, estroverso. Tutto quello che io non ero. Io passavo la maggior parte del mio tempo libero al computer chattando con amici di paesi lontani. Alcuni mi chiamavano cyber-eremita. Ma sto divagando di nuovo, sarà meglio che taccia.

Mi sdraiai sul mio letto, lui andò alla scrivania ed estrasse la sedia per sedersi. Chiacchierammo di varie cose, delle ragazze che avrebbe voluto chiavare e di come lo trattavano i suoi genitori (ma lui otteneva tutto ciò che chiedeva, quindi non pareva che non lo trattassero così male).
Si sedette sul mio letto ed io mi sedetti vicino a lui. Sul suo viso comparve un’espressione molto seria come se qualche cosa lo stesse infastidendo. Me ne accorsi.
"Non so. È solo che... qualche cosa... qualcuno...ahh, cazzo. Non so" Rispose dopo che gli ebbi chiesto cosa c’era che non andava.
Gli circondai le spalle con un braccio: "Eric. Ragazzo, c’è qualche cosa che non va. Mi sembra che tu sia veramente preoccupato. Parla, ti aiuterà ad uscirne." E gli sorrisi rassicurante.
"Ero a quel concerto l’altro giorno. E qualcuno… un ragazzo… mi ha chiesto… mmm… lui mi ha chiesto di uscire con lui. Io ero sconvolto" E guardò il pavimento vergognoso: "Io… io voglio dirti una cosa, Giacomo. Mmmm..." Cominciò ad innervosirsi e faceva continuamente ‘Ahhh’ e ‘mmm’.
Gli accarezzai la schiena per rassicurarlo: "Eric, cosa c’è, amico? Forza, puoi dirmelo."
Lui si alzò e cominciò a camminare avanti ed indietro, poi si sedette alla scrivania. Finalmente trovò il coraggio di parlare: "Non so… um… come dirtelo. L’unica ragione per cui voglio raccontartelo… ahhhh… ummm… beh, tu sei il mio miglior amico e penso che dovresti sapere. Io sono… uhhh… Giacomo. Io sono gay." Mentre me lo diceva guardava il pavimento. Rimasi pietrificato per un minuto per assorbire quello che avevo sentito.
Senza pensarci mi alzai e mi avvicinai ad Eric. Lui mi vide alzarmi, avvicinarmi e si ritirò pensando che stessi per colpirlo.
"Eric, non ti colpirò."
Ritornai al letto e mi sedetti.
Accarezzando il lenzuolo accanto a me gli feci segno di venirsi a sedere.
Esitò finché non lo rassicurai che non lo avrei colpito, allora docilmente si avvicinò e si sedette accanto a me.
Vidi l’ombra delle lacrime nei suoi occhi.
I miei occhi decisero di fare altrettanto ed in breve furono fiumi di lacrime.
Senza dire più niente lo tirai a me, posai la sua testa sul mio torace e continuammo a piangere. Gli carezzai i capelli ed il collo, non parlammo, non necessitavano parole. Noi piangemmo insieme per 20 minuti mentre lo abbracciavo.
Dopo aver pianto a lungo, mi guardò curioso.
I suoi occhi erano rossi, mi immaginai che anche i miei lo fossero.
Era là fermo in quello che poteva solo essere descritto come un silenzio confuso. Lo guardai negli occhi. Lui li abbassò. Tentai di parlare ma avevo un groppo in gola. Tentai di gracchiare alcune parole, ma non uscì nulla. Alla fine alzai una mano sulla sua testa, la feci correre alla nuca ed alla fine sotto il suo mento. Glielo tirai su leggermente in modo che mi guardasse negli occhi. Mi chinai e con esitazione misi le mie labbra sulle sue. Sembrò che ci mettesse un po’ a registrare nella sua mente quello che stavo facendo, ma appena ci riuscì, cominciò a restituirmi il bacio.
Mi infilò la lingua in bocca ed io feci lo stesso con la mia. Spostai le dita dal mento alla nuca e lo tirai a me mentre mi sdraiavo indietro sul letto. Lui si sdraiò su di me strofinando il suo inguine sul mio.
Ci liberammo velocemente dei vestiti.
Potevo sentire le sue calde lacrime di gioia cadere sul mio torace mentre facevamo l’amore. Eravamo molto delicati l’uno con l’altro, assicurandoci di dare il maggior piacere possibile all’altro. Mi lamentai rumorosamente quando lo penetrai, lui gemette e si lamentò insieme a me. Solo occasionalmente le nostre parole erano coerenti e solamente allora ci dicevamo l’un l’altro quanto piacere ci davamo.
Continuai ad immergermi nel suo buco stretto finché non raggiunsi l’orgasmo. Lui diede un ultima scossa al suo pene e ne uscì il contenuto fumante che si sparse sul mio torace.
Appena finii, mi tolsi delicatamente. Lui si sdraiò sul mio torace spremendo il suo succo d’amore tra noi e ci baciammo.

Quando mi svegliai vidi Eric che riposava accanto a me. La sua testa era appoggiata sul mio torace e le gambe attorcigliate alle mie. Lo guardai mentre dormiva, il suo torace che si alzava quando respirava, il suo modo di muovere le labbra. Potevo immaginare quello che stava sognando. Non lo svegliai per paura
di perdere la possibilità di guardare il riposo del mio Adone. Non so come mai ma sapevo che avrei avuto molte altre opportunità, ma questa era la prima volta. Era sacra. Spostai leggermente la testa per guardare l’orologio, lessi 10 e 56. Avevamo dormito per circa 5 ore, avevo guardato prima di addormentarmi ed erano le 4 e 49. All’improvviso mi afferrò la paura, cosa sarebbe successo se fosse entrata la mamma? Se mi avesse visto così? Non ero ancora pronto a farglielo sapere.
Avevo paura che mi sorprendesse… sorprendesse nelle braccia di quel bel ragazzo… abbracciati… innamorati.
Poi all’improvviso non mi importò più di nulla, tutto ciò che volevo era stare tra quelle braccia. Sentire la sua pelle morbida e liscia.
Probabilmente mi mossi perché lui si agitò. Pensai che fosse ritornato a dormire finché lui non alzò lo sguardo su di me.
Io lo guardai e sorrisi. Il gonfiore provocato dal tanto piangere che avevamo fatto doveva essere svanito. Lui si alzò un poco e mi baciò il collo. Io gli baciai la fronte mentre lui districava le sue gambe dalle mie. Interruppi il silenzio quando lui mi baciò di nuovo, questa volta sulle labbra.
"Ciao, Eric. Dormito bene?" Gli chiesi amorevolmente.
"Sì, come un ghiro" Rispose sorridendo: "Ma ora mi scappa."
Gettò indietro il lenzuolo mettendo in mostra il suo corpo magnifico, coperto si sperma e sudore. Lo sentii andare nel mio bagno e liberarsi. Pensai che fosse meglio alzarmi e scendere per vedere se la mamma era arrivata.
Quando aprii la porta mi resi conto immediatamente che in casa non c’era nessuno. Tutte le luci erano spente, da quello che io potevo vedere, non sentivo i rumori familiari della televisione. Scesi nudo la scala, la porta della camera da letto della mamma era aperta come quando ero salito. Continuai a scendere per le scale e fui spiacevolmente scioccato dal freddo del linoleum sotto i miei piedi nudi. Salii sul tappeto per scaldarli continuando verso la cucina. Da dove stavo vidi che la segreteria telefonica stava lampeggiando, indicando un nuovo messaggio. Mi avvicinai e pigiai il pulsante play.


Biiip, “Giacomo, sono la mamma. Mi spiace di non averti chiamato prima. Sono stata incaricata di un grosso caso. Devo volare ad intervistare dei testimoni. Non ritornerò prima di domani. I soldi sono nel mio cassetto nel caso tu ne abbia bisogno. Oh, il signor Quadri vuole che tu vada al lavoro domani, ha bisogno di te per qualche cosa che riguarda l’hard disk di un ospedale. Comunque fai venire un amico per il fine settimana. Non dim…” biiip.
Il resto del messaggio era stato troncato. Poi sentii un altro segnale:
Biip, “Mi spiace Giacomo. Stavo dicendo di non dimenticarti di fare i compiti. E tieni la casa pulita. E assolutamente, naturalmente, niente feste. Ti voglio bene, probabilmente sarò a casa domenica. Mi verranno a prendere con un taxi, quindi non preoccuparti di venirmi a prendere. Ok, devo andare. Ti voglio bene. Ciao! - clic - biip

Non c’erano altri messaggi, quindi andai al frigorifero. Lo aprii e mi resi conto che non c’era dentro niente da mangiare. Pensai che avrei fatto un buon uso dei soldi di mamma. Andai disopra e vidi che Eric era nella doccia. Siccome ero nudo, mi avvicinai, tirai la tenda da parte ed entrai. Lui si stava lavando sotto le braccia. Gli sorrisi, presi il sapone e cominciò delicatamente ad insaponare la sua pelle morbida. Gli lavai ogni parte del corpo, esplorandolo mentre lo facevo. Poi gli passai il sapone e fece lo stesso con me. Tutto lo sperma essicato sembrò sciogliersi sotto l’acqua calda. Lui finì di insaponarmi, io mi sciacquai ed uscii, lui uscì dopo di me.
Ci asciugammo l’un l’altro e poi tornammo nella mia stanza. Lui non aveva vestiti di ricambio, così gliene prestai un po’ dei miei. E devo dire che era maledettamente eccitante con la mia t-shirt!

Andammo in macchina, accesi il motore che cominciò a ruggire mentre indietreggiavo sul passo carraio. Mi si mise accanto e mi circondò con un braccio. Gli sorrisi, avevo già dimenticato la fame, ma il mio stomaco no. Era vuoto e ringhiò in protesta.
"Eric, ho un po’ di soldi. Dove vuoi andare per cena?"
"Non so. Da qualche parte che rimane aperto sino a tardi. Sono le 12" Disse guardando l’orologio.
"Hmmmm" Ci pensai per un momento: "L’unico aperto è Espresso e Panini. Che ne dici di un grosso panino di tacchino?"
Ci pensò per un minuto: "Si, mi sembra una buona idea."
Arrivammo al negozio, parcheggiammo ed entrammo
"Eric! Ehi fratello, come va?" disse una voce che riconobbi immediatamente come quella della sua sorella maggiore. L’avevo sentita alcune volte quando chiamavo al telefono Eric, ma non l’aveva mai incontrata.
Lui si girò per vedere chi l’aveva chiamato. I suoi occhi si accesero e disse: "Ehi sorella, che ci fai qui, pensavo fossi ancora al lavoro.”
Lei prese una sedia da un tavolo vicino e l’avvicinò al nostro. "No, ho finito. E lui chi è?" Chiese accennando con la testa verso di me.
Sorrise e prima che il fratello rispondesse disse: "Il tuo ragazzo? Wow, è carino. Hai scelto..." Si bloccò quando Eric le lanciò un ‘tieni la boccaccia chiusa’.
Io ero seduto gelato fissandola come se le fosse cresciuta una seconda testa o una terza tetta. Lei mi guardò e rise. Eric mise una mano sulla mia e disse: "E’ tutto ok, Giacomo. Lei sa che sono gay e non ha problemi."
Le sue mani ora stringevano le mie. Lo guardai, aveva quel sorriso contagioso, io gli sorrisi e ridacchiai.
"Quindi non mi devo preoccupare di lei, eh?" Dissi sorridendo.
"No. E poi amo il tuo accento, è coosì sexy." Disse lei ridendo "Bene cosa volete, ragazzi? Oggi offre la casa." E lasciò cadere un blocco di carta ed una matita davanti a noi.
"Oh, a proposito, io sono Giacomo?" "Io mi chiamo Sara." Disse lei allungando la mano.
"Felice di conoscerti, Sara." E le presi la mano dopo di che lei ritornò nel retro. Dagli altoparlanti che pensai fossero nel soffitto scese “La luce dei tuoi occhi”, guardai negli occhi di Eric e sorrisi. ‘Potrei perdermi in quegli occhi’ pensai. Sempre sorridendo guardai il blocco e la matita di fronte a me. Scelsi il panino che volevo ed anche Eric lo fece. Portò le due ordinazioni alla cassa e chiamò: "Sorella! Ecco cosa vogliamo! Porta il tuo culo fuori dal bagno e servi i tuoi poveri clienti, ragazza!"
Io risi e lui si girò e mi fece l’occhiolino.
Sentii una risposta smorzata: "Sì, sì, sì, vengo, vengo."
Dopo che ebbe preparato i panini, uno anche per lei, mise fuori il cartello ‘Torno tra mezz’ora’ e si sedette con noi.
Quattro ore, 6 caffè e tre panini più tardi, ci accorgemmo che il sole stava salendo, era ora di andare e portare a casa Sara, poi andare a casa mia per un paio di ore.

Dopo aver lasciato sua sorella, decidemmo che non eravamo stanchi ed andammo in cima alla collina. Era proprietà di un vecchio che ci aveva un palazzo. Non sapevo se era legale che noi stessimo là, ma era un luogo abbastanza appartato ed era eccellente per guardare sorgere il sole. Eravamo lì sulla mia macchina sdraiati sui sedili posteriori.
"Ehi, Giacomo", cominciò Eric: “Cosa sta cominciando ad accaderci?"
Ci pensai per un secondo e poi risposi: "Eric, io non conosco il futuro ma so una cosa: che io ti amo con tutto il mio cuore e la mia anima. Dalla prima volta che ti ho visto."
Lui diresse la testa verso di me e sentii la sua mano prendere la mia. Io gliela strinsi e lui strinse la mia.
"Io ti amo Giacomo. Ho sempre voluto che tu fossi il mio ragazzo. Spero che tu voglia stare sempre con me" .
Udendo quelle parole i miei occhi cominciarono riempirsi di lacrime, avvicinai il corpo al suo ed appoggiai la testa sul suo torace. Lui appoggiò il suo braccio al mio ed appoggiò il mento sulla mia testa. Sentivo l’aria riempire i suoi polmoni e poi essere espulsa. Il salire e scendere del suo torace mi ammaliava e prima che me ne rendessi conto, il sonno mi catturò.


Capitolo 4
La tragedia

Era passato un mese da quando Eric ed io ci eravamo trovati, ora uscivamo insieme anche se non eravamo ufficialmente una coppia. Anche se nessuno ne parlava, ero sicuro che più di una persona vedeva quella luce speciale nei nostri occhi quando ci guardavamo. I nostri genitori non lo sapevano ancora. Quando eravamo a casa uno dell’altro e c’era qualcuno altro oltre a Sara, ci tenevamo ad una distanza rispettabile anche se mi addolorava farlo.
Avrei voluto coccolarmi col mio nuovo amore, ma quando eravamo insieme, se aveste potuto essere con noi, avreste capito che eravamo veramente pazzamente e profondamente innamorati uno dell’altro. Avevamo la nostra canzone e quando eravamo da soli in casa la ballavamo. Avevamo la relazione perfetta, in tutto eccetto una cosa: non potevamo parlarne con qualcuno. Oltre a Sara non avevo nessuno con cui parlare di questi sentimenti di felicità.

Eravamo a casa di Eric e guardavamo un film con Sara. Non essendoci nessun’altro io ed Eric ci coccolavamo. Era il compleanno di mia mamma quel giorno ed avevamo deciso che quella sarebbe stata la sera in cui le avremmo detto di noi.
"Ehi?" Disse Eric per attirare la mia attenzione.
"Sì, baby?"
"Stavo pensando. Perché non la portiamo all’Olive garden, le piace quel cibo. E potrebbe rendere più accettabile il colpo."
"Sì, mi sembra una buon idea." Mi accoccolai più vicino a lui. "Dannazione, come ti amo."
"Anch’io ti amo, baby!" Mi disse baciandomi la fronte. Poi riportammo la nostra attenzione al film.
Dopo essere andati a prendere mamma, dicendole che avevamo una sorpresa per lei, presi l’autostrada per andare al ristorante. Parlavamo e giocavamo.
Non so cosa accadde, girai la testa per un secondo per indicare qualche cosa alla mamma. Subito dopo sentii di essere spinto in avanti, sentii lo stridio del metallo. Poi sentii che l’air bag scoppiava, siccome ero addossato al volante, mi prese dietro, mi salì il sangue agli occhi e persi conoscenza.

Eric venne verso di me dall’oscurità dove mi trovavo; sapevo che stavo sognando, non so come, ma lo sapevo. Eric mi fece segno di seguirlo, ma più correvo, più lontano lui andava. Gridai il suo nome ‘EEEEEERRRRRRRRRIIIIIIIICCCCCCCCC’ ma lui non sembrò sentirmi. All’improvviso la sua silhouette sparì, sostituita da una luce brillante. Io fremevo, non nel sogno; no, era una cosa diversa.
Aprii gli occhi e vidi un’infermiera vestita di bianco davanti a me che mi puntava la luce bianca di una penna negli occhi.
"Dannazione, mi tolga quella roba dalla faccia." Ringhiai
Immediatamente la luce svanì, dopo qualche secondo i miei occhi si adattarono alla luce, ma non era tutto chiaro. I miei occhi erano ancora piuttosto sfuocati, vedevo solo le ombre delle persone.
"Do...? Dove sono? " Io chiesi alle ombre.
"Shhh, è tutto ok Giacomo, vai benissimo." Disse una voce. Capii immediatamente chi era. Era Sara. La sua voce acuta fu sostituita da una voce più seria, più profonda, più quieta.
"Sara? Co...? Stavamo guidando… da qualche parte. Ho sentito una forte botta. Ho picchiato la testa e… ed Eric. Dove è Eric? Mamma sta bene? Stanno bene? Mamma!" Gridai.
"Shhhh, Giacomo. Tua mamma sta bene. La dimetteranno oggi."
Ora i miei occhi vedevano chiaro e vedevo lacrime sulla sua faccia. Una fredda paura afferrò il mio cuore.
“E Eric, sta bene?" Implorai.
"È nella stanza vicina. Sei qui da tre giorni" Rispose. Sentì delle voci familiari fuori della stanza e mi disse: "Torno presto, sono arrivati i miei genitori." Ed uscì dalla stanza.
Girai la testa verso la finestra, le imposte erano parzialmente chiuse e non avevo luce negli occhi. Improvvisamente sentii una voce familiare.
"Giacomo!" Era Eric! Mi voltai verso la porta e lo vidi. Entrò lentamente e si sedette sull’angolo del mio letto. Aveva un’espressione triste sul viso, esattamente la stessa espressione che aveva sul viso quando mi aveva detto di essere gay. Io ero senza parole ma la lacrima che rotolava sulla mia guancia parlava per me.
"Giacomo. Tutto bene?" Io accennai col capo: "Giacomo, ora devo andare, non ho molto tempo. Dovevo vederti ancora una volta prima di… di andare via. Ma non preoccuparti amore, saremo di nuovo insieme e, ascoltami, voglio che tu viva la tua vita, non voglio che tu sia da solo per tutta la vita. Mi farebbe troppo male vederti così. Io ti amo Giacomo, mio dolce, dolce Giacomo. Non dimenticarmi mai. Come io non ti dimenticherò mai. Ho amato ogni minuto passato con te. Come so che è stato anche per te." Tacque e finalmente riuscirono ad uscirmi alcune parole gracchianti.
"Eric. Io ti amo"
Lui si girò: "Lo so, Giacomo, lo so."
E poi se ne andò.
Sentii degli allarmi squillare nella stanza vicina, segnalando la partenza definitiva di Eric. Piansi per tutta la notte con Sara che mi abbracciava.

Capitolo 5
La mia vita dopo Eric

Sono passati dieci anni dalla morte di Eric. Poco dopo essere uscito dall’ospedale, dissi alla mamma che ero gay e che io ed Eric eravamo innamorati. Lei la prese bene e mi disse l’aveva capito. Sei anni dopo che glielo ebbi detto morì, lottò sino alla fine e le sue ultime parole furono che mi aveva amato e che non l’avevo delusa mai.
Sara si è sposato e viviamo porta a porta. Ogni anno festeggiamo il compleanno di Eric ed ogni anno lo piangiamo. Devo ancora trovare qualcuno come Eric, e so che sarà quasi impossibile trovarlo. Per me lui era unico e perciò insostituibile.
Ogniqualvolta mi sento perduto o solo, vado alla sua tomba con un lettore di cd ed una copia della nostra canzone. La faccio suonare e gli parlo.
Quando me ne vado mi sento bene. Non l’ho più visto come mi era successo nella camera dell’ospedale e non lo desidero neppure. Tento di tener fede alla promessa che gli ho fatto e vivo la mia vita ogni giorno. Sono ancora da solo, cosa che ho paura che non cambierà mai. Sento che Eric mi ha dato un regalo meraviglioso. Lui mi ha insegnato il vero amore. Questo è il regalo di Eric.

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